Strage via D’Amelio, Spatuzza riconosce 007

“Somiglia all’estraneo presente nel garage dove fu preparato l’attentato”. Così il mafioso Gaspare Spatuzza, oggi collaboratore di giustizia, ha indicato ai pm di Caltanissetta – che hanno riaperto le indagini sulle stragi del ‘92 – l’ex agente del Sisde, ora funzionario dell’Aisi, l’Agenzia per la sicurezza interna, Lorenzo Narracci. “È lo stesso che mi avete mostrato in foto”, ha detto Spatuzza, che, tuttavia, non è stato in grado di fornire risposte certe. Dunque ci sarebbe una somiglianza. Lo 007, secondo il pentito, potrebbe essere “la persona esterna alla mafia” vista mentre veniva imbottita di tritolo la Fiat 126, ovvero l’auto usata per uccidere il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta quella domenica pomeriggio del 19 luglio 1992 in via D’Amelio, a Palermo.

Da Caltanissetta a Palermo: Mario Mori, già sotto processo per favoreggiamento alla mafia, è stato iscritto nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa tra Stato e mafia. La trattativa, secondo i pm, sarebbe stata avviata da apparati istituzionali con lo scopo di fermare la stagione delle stragi del ’92, cominciata proprio con l’attentato al giudice Giovanni Falcone. Insieme con Mori risultano indagati, con l’accusa di attentato a corpo politico dello Stato, i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano e Antonino Cinà. E non solo: è indagato, sempre per lo stesso reato, l’ex braccio destro del generale, il capitano Giuseppe De Donno.

Indagato, per concorso in associazione mafiosa, anche Massimo Ciancimino, accusatore di Mori, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito. Ciancimino, interrogato per nove ore dai pm di Caltanissetta, è stato chiamato a riconoscere Narracci. Secondo quanto ha dichiarato Ciancimino ai pm, Narracci avrebbe incontrato suo padre. Una versione che è stata smentita dal funzionario dell’Aisi, che ha dichiarato di non averlo mai incontrato. In più, ci sarebbero stati “strani passaggi di documenti” durante la perquisizione fatta, nel 2005, dai carabinieri nell’appartamento di Massimo Ciancimino. In particolare, secondo gli inquirenti, i militari non avrebbero aperto la cassaforte, che conteneva il documento in cui Riina faceva le sue richieste allo Stato.
Serena Marotta

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