La fiducia al Senato sul Jobs Act senza senatori civatiani

Il Pd è spaccato nella manifestazione dei suoi consensi all’operato di Renzi. Durante la votazione in aula per la fiducia, tre senatori civatiani hanno lasciato l’aula. Gli altri hanno votato ma non rinunciano alle critiche.

Matteo Renzi, all’una di notte, riceve un sms che lo informa che è stata ottenuta la fiducia al Senato, ma miglior fiducia dall’inizio del suo Governo visto che ha incassato 165 pareri positivi sul Jobs Act rispetto ai 111 pareri negativi. Eppure le polemiche non accennano a quietarsi. Il premier che si ostina ad annunciare che “noi andiamo avanti”, non fa i conti con la minoranza del Pd che insieme ai sindacati è decisa a non mollare la presa sulla riforma del lavoro. Nella minoranza “contro” del Pd sono inseriti anche i tre senatori civatiani che hanno lasciato l’aula prima delle votazioni sulla fiducia. Si tratta di Felice Casson, Corradino Mineo e Loredana Ricchiuti. Alcuni renziani, per loro chiedono addirittura l’espulsione ma sembra che, per il momento, ci sarà soltanto una valutazione nell’assemblea del gruppo, del loro operato.

Un altro episodio legato a quelli che abbiamo raccontato è quello di Walter Tocci che dopo le votazioni ha rassegnato le dimissioni da Senatore e adesso Renzi gli chiede di ripensarci. In fondo è un sostegno che non vale la pena perdere. Il Jobs Act, quindi, mette in crisi in Pd dove Bersani&Co. Chiedono più tempo per valutare le riforme.

Intanto Renzi, tra il malcontento di una corrente democratica, incassa il plauso degli organismi sovranazionali: sia il segretario generale dell’Ocse, sia Draghi, vedono in questa manovra uno strumento necessario per far ripartire l’economia tricolore.

Il segretario dell’Ocse Gurria si congratula con Renzi e ritiene che l’avanzamento delle sue riforme sia il benvenuto. Draghi, invece, ribadisce che le riforme strutturali sono necessarie ed è autolesionista mettere in dubbio le norme di bilancio. Secondo il presidente della BCE in più, il Jobs Act non si tradurrà in un maggior numero di licenziamenti, visto che a tagliare le risorse di aziende e imprese italiane, ci ha già pensato la crisi.

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