Je suis Charlie, le origini dello slogan e del suo business

Dopo l’assalto alla redazione del Charlie Hebdo, le opinioni sull’accaduto si sono immediatamente delineate e gli opinionisti si sono spaccati tra i Je suis Charlie, sostenitori della libertà d’espressione a tutti i costi e i “Je ne suis pas Charlie” che lungi dal condannare la libertà d’espressione hanno comunque ricordato che la laicità del periodico francese è eccessiva anche per i tolleranti di ogni religione. 

Il fatto di cronaca è talmente semplice e ripetuto sui media che parlarne è superfluo. Evitiamo anche gli schieramenti netti perchè a voler far parte dei nuovi “indignati” o a volersene allontanare per essere voci fuori dal coro a tutti i costi, si rischia d’incappare in errori grossolani. Parliamo invece di questo slogan: Je suis Charlie e dell’instant business che si è creato tutto intorno.

In un articolo di Frédéric Potet su Le Monde, si spiega che lo slogan Je suis Charlie è stato coniato da un grafico di 39 anni, Joachim Roncin che l’ha pubblicato su Twitter senza sapere che poi avrebbe fatto il giro del mondo. Roncin è molto ricercato dai media, lavora anch’egli in un settimanale gratuito distribuito in metro, ne è il direttore artistico da circa due anni e la sua rivista con il Charlie non ha niente a che vedere. Ad ogni modo lo slogan gli è venuto del tutto naturale, per esprimere più che commentare, lo sgomento rispetto alla notizia dell’assalto.

Dopodiché, così come il web ha fatto da traino allo slogan, semplice è immediato, così il web è diventato complice di quella che sempre su Le Monde, chiamano emergenza di un macabro business. Per esempio alcuni internauti francesi hanno fatto notare che su Ebay ci sono già speculazioni riguardo al settimanale con la vendita a prezzi fuori dalla norma di alcune copie del settimanale. Ebay ha immediatamente specificato che le commissioni pagate per l’acquisto saranno versate al Charlie Hebdo. È sufficiente?

Poi ecco che si partiti con la deriva “solidale” che ha dovuto bilanciare le speculazioni come quella dei 3 Suisse che hanno usato questa strage per recuperare terreno a livello commerciale, modificando a proposito il loro logo. Questo nuovo logo è stato subito rimosso dall’azienda che ha spiegato di non aver voluto offendere nessuno con la condivisione del proprio cordoglio. A che prezzo? Sarebbe da chiederselo.

Non è mancato l’acquisto immediato dei domini jesuischarlie.com, comprato dalla società di formazione professionale Coactive Team, e jesuischarlie.net prenotata dall’azienda d’informatica Jaw X Process. L’unico che sembra non aver tratto vantaggi da questo slogan è il suo creatore che prontamente su Twitter ha condiviso quello che definisce l’unico uso sensato del suo slogan, quello proposto da Reporter senza Frontiere che starebbe raccogliendo fondi per il giornale vittima dell’assalto vendendo magliette con su scritto Je suis Charlie.

Ora la domanda è semplice: a che serve tutto questo clamore mediatico? A che serve focalizzarsi su questi aspetti? Forse a dimostra che l’informazione reale va esfoliata degli eventi superflui arrivando alle questioni essenziali, ad esempio: alla luce del ruolo delle forze dell’ordine nell’assalto al Charlie Hebdo, che strumenti ha la Francia per combattere contro il terrorismo? A riguardo una risposta potrebbe essere quella di Mathilde Damgé et Enora Ollivier sempre su Lemonde.fr.

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