Contributo Aspi punto per punto

Il contributo obbligatorio ASPI – la nuova assicurazione per l’impiego che ha preso il posto dell’indennità di disoccupazione, – riguarda le sole imprese e non tutti i datori di lavoro: in caso di licenziamento di collaboratori domestici, per esempio, non è dovuto.

Chiariamo alcuni punti riguardo il contributo Aspi, vale a dire la nuova indennità di disoccupazione introdotta dalla riforma Fornero, operativa dal 1 gennaio 2013 e che si applica nel caso in cui viene a cessare un rapporto lavorativo a tempo indeterminato per causa diversa dalle dimissioni. L’indennità spetta se si è in possesso di almeno 52 settimane di contributi nel biennio precedente, mentre la mini Aspi se si è lavorato per almeno 78 giorni di calendario nell’anno solare, anche in maniera non continuativa.

L’Aspi e la mini Aspi vanno a sostituire le precedenti indennità di disoccupazione ma ora il datore di lavoro deve versare tre tipologie di contributi, vale a dire quello ordinario, quello addizionale e qualora si verifichi l’interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. In quest’ultimo caso il datore lavoro deve versare la tassa per un tempo fissato per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni, ed è pari al 50 per cento dell’assegno mensile della Aspi.

Questo caso aveva sollevato i malumori dei datori di lavoro domestico, i quali hanno come dipendenti colf e badanti e che di certo non dispongono di grosse cifre mensilmente. Infatti dopo varie discussioni essi sono stati esonerati dal pagamento di questa tassa sul licenziamento; a loro si aggiungono fino al 31 dicembre 2016, i datori di lavoro già onerati dal pagamento del contributo d’ingresso nelle procedure di mobilità. Inoltre, non devono versare l’Aspi quei datori di lavoro che sono stati costretti a licenziamenti in seguito a cambi di appalto e coloro che hanno concluso il rapporto di lavoro con i propri operai a seguito del completamento delle attività del cantiere.

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